Bling Ring

Avevo scritto una lunga e sentita recensione di “Bling Ring”, l’ultimo film di Sofia Coppola, che ho appena visto, una recensione che prendeva spunto dalla mia esperienza di spettatore fiducioso ed aperto alla creativitá, da sempre incline a concedere fiducia all’opera registica e a trovare spunti degni anche in opere minori, ma WordPress è andato in crash e l’ho persa completamente per cui nell’impossibilitá di recuperarne completamente e fedelmente i contenuti e le argomentazioni mi trovo a doverla riassumere rifacendomi alla piú classica delle formule della critica cinematografica moderna: “Bling Ring” é una cagata pazzesca”.

Asterios Polyp

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Un bel libro assolutamente da leggere che diventa da subito un bel film. Copy and art at their best.

“Patria”_Enrico Deaglio

ci sono vissuto dentro, in mezzo a questi trent’anni, ma leggendo “Patria” non riuscivo a credere che TUTTE queste cose fossero realmente successe così vicino a me. Il libro disegna un identikit iperrealistico del sistema Italia, un blog mutante che conferma in pieno le teorie evoluzioniste, con la sua spietata capacità di leggere, anticipare e plasmare le forme della politica in funzione di potere e profitto (in ordine casuale).


Deaglio disegna un planetario fatto da elementi di prima grandezza come la stella Andreotti, il pianeta Mafia, la stella Silvio e quella P2 (purtroppo nessuno di questi è una cometa) assieme a tutta una serie di satelliti che orbitano o ci hanno orbitato attorno. La patria sbriciolata è raccontata, anno dopo anno, dall’omicidio Moro alla fine del 2008 e raccogliendo queste briciole, passo dopo passo un’idea te la fai.

Novecento pagine che ho letto tutto d’un fiato, un antidoto fenomenale a tutti i revisionismi e le amnesie indotte dal sistema Patria da assumere tutto d’un fiato da quanto è vero, avvincente e pensato.

P.S. L’immagine di copertina è un nonsense: riuscite a capire perché?

books_”Despero”

“Despero” di Gianluca Morozzi, la storia che da giovani molti hanno vissuto suonando in una band. Una porzione di vita con la prospettiva unica della musica e del coito e la progressiva intrusione di tutto il resto.
Storia veloce ad alta digeribilità.

da jo_Marzocco e i suoi fratelli

In questa questa bella recinzione Jo seleziona, dosa e miscela con sapienza gli ingredienti tipici del suo scrivere.

A viareggio non ci sono locali decenti, sulle colline si mangia finta cucina casalinga, ma a pietrasanta è un boom di localini davvero interessanti, ecco la ricetta per aprire un localino sfizioso.
n.b al momento si può fare solo nella nuova atene.
si prende un fondo decisamente piccolo.
è obbligatorio il soffitto a travi e mezzane.
al massimo un paio di stanzette per 5/8 tavoli.
operazione necessaria a far sembrare il locale frequentato anche con solo un paio di coperti e a rendere obbligatoria la prenotazione nel weekend, dando subito un senso di esclusività.
infallibile sistema anche per creare tra gestore e avventore un clima di consolidata amicizia anche solo dopo due cene.
si arreda il locale con approssimazione (più avanti “gusto”) andando da un rigattiere e scegliendo un po’ di modernariato a basso prezzo da sparpagliare in giro: scatole di orzo bimbo, un mobiletto scrostato, chincaglieria da bidone, qualche poster di mostre degli anni settanta. Un ottima ed infallibile scelta è quella di scegliere qualsiasi cosa alla cazzo di cane: dalle sedie ai bicchieri è necessario che sia tutto scompagnato.
luci soffuse e candele e da subito qualsiasi oggetto acquista dignità ed è sdoganato diventando interessante ed insolito, ottimo sistema anche per liberarsi di regali di matrimonio (soluzione ideale per cinquantenni divorziati ora passati ad una dignitosa omosessualità).
una macchina da caffe vintage sarà il tocco finale.
Fatto questo si è praticamente quasi pronti, giacchè la parte da dedicare alla cucina è decisamente semplice.
Si prende infatti un foglio di carta ed un pennarello e si fa un elenco di ingredienti etnici e locali: baccalà, fave, ginepro, tonnarello, timo, cous cous, menta, gallinella, zenzero, agnello, curcuma, segale, miele di qualcheccosa, basmati, etc etc. dopodichè su un altro foglio si scrivono una serie di preparazioni: vellutata, fagottino, ricciolini, tegamino, carpaccino, assaggino (meglio appunto se finiscono tutti in ino) poi si fanno dei fogliettini e tramite estrazione si compongono i piatti. Quello che ne verrà fuori sarà la nostra inimitabile cucina “fusion” che accompagnata ad una preziosa bottiglia di vino piacerà tanto allo scultore tedesco quanto ai giovanotti bene in fuga dal forte. esempio. ho estratto a caso: zenzero, basmati, gallinella, fagottino, carpaccino. quindi sul menù (rigorosamente scritto a mano) andremo a scrivere, carpaccino di gallinella con fagottini di basmati allo zenzero.
non è difficile, provare per credere, se si vuole strafare (ma la difficoltà aumenta) si può fare un altra serie di foglietti con gli aggettivi.
es. il nostro piatto diventerà: carpaccino freddo di gallinella con fagottini croccanti di basmati allo zenzero agrodolce.
cos’è e come si prepara è del tutto indifferente.
Alla fine  presentate al cliente un conto tra i quaranta ed i cinquanta euro a garanzia e conferma di essere stati finalmente in un locale davvero alternativo, vedrete che questi vi ringrazierà e correrà a consigliare il locale ad amici e parenti.
e non dimenticate di spargere la voce che per una pizza ed una birra ci vogliono oramai trenta euro.

Tutto questo perchè al posto di una vellutata di asparagi (piatto raffinato di difficile preparazione, a base di burro, panna uovo, che richiede tempo e sapiente arte culinaria) mi hanno rifilato al costo di 15 euro un passato di verdure con tre gamberetti in scatola. Ma perchè cazzo devi scrivere “vellutata”, scrivi passato di verdure col miniprimer e fammelo pagare la metà, io lo mangio ugualmente ma almeno non ci prendiamo per il culo.

recinzioni_il Briganti, Firenze

quando esci con giulia e max spesso ti ritrovi a fare scouting per location, che in un italiano più masticabile vorrebbe dire che ti portano sempre in posti sorprendenti in cui come minimo gireresti un film o ambienteresti delle foto, altro che mangiare. Alla fine poi scopri che quei posti lì ti riempivano gli occhi e soddisfacevano anche il palato.
Avevo una fame bestiale, l’altra sera a Firenze, e mi sono ritrovato nei primi anni ’70. C’era tutto, il colore generale giallo nicotina pallido, il soffitto a due e quaranta, i neon, il pavimento che non so come si chiama, ma è quello con le pietre sezionate e affogate nel cemento, i tavoli e le sedie impagliati da tinello, gli infissi in anodizzato nella tonalità oro anodizzato, l’acustica rimbombante, la vetrina dei dolci, le fotocopie sbiadite incorniciate, i baffi e i gilet di lana.

Consulto il menu stampato ad un colore e che, nelle bevande, fa una distinzione fra “vini” e “vini speciali” e leggo tra le proposte spaghetti al pomodoro, aglio olio e peperoncino, stracciatella, uovo al tegamino, pollo fritto. Mi consigliano gli spaghetti al pomodoro, la loro specialità.
I più buoni che abbia mai assaggiato, conditi con una salsa, tutta a crudo tipo quella della bruschetta: pomodori sbucciati e tagliati a pezzetti lasciati marinare in un trito di aglio e basilico, poi saltato un paio di minuti in padella con abbondante parmigiano e peperoncino. Servito fumante, ho già indossato il tovagliolo calzato a collo alto in modalità salvaschizzo con nodo posteriore, forchetta già impugnata a martello, papille gustative a regime, stomaco urlante, salivazione a torrente.

Prontivia, in qualche boccata dalla frenesia iniziale i sapori si mescolano in bocca in un trionfo di semplicità che attimo dopo attimo mi regala l’estasi, sìssì proprio quella. Non ho mai mangiato una pastasciutta al pomodoro così buona, la migliore pastasciutta al pomodoro che abbia mai mangiato, a malincuore migliore della pomarola di due generazioni di mamme e nonne by casaboldi.
Il seguito è solo un postcoitum da cui riemergo grazie ad un vassoio di verdure fritte croccantissime su cui svettavano i fiori di zucca e le patate tagliate a mano, una forma estinta nei nostri piatti soppiantata da parallelepipedi giallini di una regolarità nauseante.
Da bere vino rosso e acqua minerale, ma insieme, altro sapore d’epoca.

Caffè, conto, usciamo da questa macchina del tempo con i sensi satolli, monto in macchina e torno a casa nella notte con delle istantanee di “Amici miei” e canticchiando “Whole lotta love”.

recinzioni > da ofp_Unkle: War Stories

Dotato di tutto l’artwork super figo cui ci hanno abituati, a fine Luglio è uscito War Stories, il nuovo ( a questo punto semi nuovo ) disco di James Lavelle e Richard File; gli Unkle.

Vi dico subito che è un album fantastico. A mio avviso è il disco più bello di questa parte di 2007. Rispetto a Never, Never Land ( che avevo recensito sul blog michelesco qualche anno orsono ), War Stories è nettamente più cattivo e rockeggiante. La loro idea di voler coniugare atmosfere romantiche ed elettroniche, in questo disco è molto più cupa. Le sonorità sono tipiche di certe atmosfere post punk e dark. Significativo che il grande singolo “Burn my Shadow” sia cantato da Ian Astbury. Il leader dei Cult sfodera una prova profonda e trasognata. Il brano è un martello di batteria e basso in levare, che lega su una riff di chitarra sinistra e perfetta. Il video è come al solito da repetita masturbatio. Vedetevelo e ditemi se riuscite a trattenervi da mimare con il piede l’incedere percussivo.

L’album si apre con un intro brevissima quasi acid jazz, interrotta sul nascere da un pezzo strumtale ( Chemistry ) che per suoni e stile inquadra in pieno l’intero War Stories. La prima canzone vera e propria è la bella Hold My Hand, alla Depeche Mode. Segue quella che a mio parere è l’acme del disco. Si tratta di Restless, cantata da Josh Homme. Il leader dei Queens of the Stone Age è ormai un ospite fisso degli Unkle, e qui firma un pezzo che, citando Montale, leva di culo!!!
Basta un assaggio dell’inizio del pezzo, che trovate in questo promo per War Stories . ( il brano in questione è quello all’inizio del video ). Loop dance di chitarra. Ritmo secco e squadrato. Entra la voce di Josh, scazzata come si conviene. Il resto è rappresentato da voi che date di matto mentre zompate sul divano. Se la canzone vi lascia indifferenti, vincete un soggiorno omaggio alla casa di cura “Villa Gisella”, dove potrete contemplare la decomposiozione del vostro organismo.
Non mi dilungo oltre per commentare un disco che rimane per tutta la durata su livelli notevolissimi e che si fa ascoltare sia in macchina col gomitino di fuori (tenete sempre Restless a portata di casse, quando vedete una fichetta al semaforo), sia aggirandovi in casa con atteggiamento pensoso, sorseggiando il vostro Chateau Briand, nell’incredulità dei vostri familiari.
Ovviamente super prodotto ma volutamente rugginoso, con ospitate illustri ( Josh, Ian e Massive Attack ), è il disco che ho ascoltato tutto Agosto. E dopo tutti queti ascolti non ho dubbi: compratelo, scaricatelo, fate quel che vi pare, ma fatevi un regalo, mettete War Stories a disposizione dei vostri padiglioni auricolari.
Se ancora avete dei dubbi sugli Unkle vi piazzo il colpo gobbo:
Costoro sono i geni che realizzarono “Rabbit In You Headlights”, cantata da Thom Yorke dei Radiohead. Vedetevi il video e poi prendete mezz’ora di permesso per andare al negozio di dischi.

ofp

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