da jo_Marzocco e i suoi fratelli

In questa questa bella recinzione Jo seleziona, dosa e miscela con sapienza gli ingredienti tipici del suo scrivere.

A viareggio non ci sono locali decenti, sulle colline si mangia finta cucina casalinga, ma a pietrasanta è un boom di localini davvero interessanti, ecco la ricetta per aprire un localino sfizioso.
n.b al momento si può fare solo nella nuova atene.
si prende un fondo decisamente piccolo.
è obbligatorio il soffitto a travi e mezzane.
al massimo un paio di stanzette per 5/8 tavoli.
operazione necessaria a far sembrare il locale frequentato anche con solo un paio di coperti e a rendere obbligatoria la prenotazione nel weekend, dando subito un senso di esclusività.
infallibile sistema anche per creare tra gestore e avventore un clima di consolidata amicizia anche solo dopo due cene.
si arreda il locale con approssimazione (più avanti “gusto”) andando da un rigattiere e scegliendo un po’ di modernariato a basso prezzo da sparpagliare in giro: scatole di orzo bimbo, un mobiletto scrostato, chincaglieria da bidone, qualche poster di mostre degli anni settanta. Un ottima ed infallibile scelta è quella di scegliere qualsiasi cosa alla cazzo di cane: dalle sedie ai bicchieri è necessario che sia tutto scompagnato.
luci soffuse e candele e da subito qualsiasi oggetto acquista dignità ed è sdoganato diventando interessante ed insolito, ottimo sistema anche per liberarsi di regali di matrimonio (soluzione ideale per cinquantenni divorziati ora passati ad una dignitosa omosessualità).
una macchina da caffe vintage sarà il tocco finale.
Fatto questo si è praticamente quasi pronti, giacchè la parte da dedicare alla cucina è decisamente semplice.
Si prende infatti un foglio di carta ed un pennarello e si fa un elenco di ingredienti etnici e locali: baccalà, fave, ginepro, tonnarello, timo, cous cous, menta, gallinella, zenzero, agnello, curcuma, segale, miele di qualcheccosa, basmati, etc etc. dopodichè su un altro foglio si scrivono una serie di preparazioni: vellutata, fagottino, ricciolini, tegamino, carpaccino, assaggino (meglio appunto se finiscono tutti in ino) poi si fanno dei fogliettini e tramite estrazione si compongono i piatti. Quello che ne verrà fuori sarà la nostra inimitabile cucina “fusion” che accompagnata ad una preziosa bottiglia di vino piacerà tanto allo scultore tedesco quanto ai giovanotti bene in fuga dal forte. esempio. ho estratto a caso: zenzero, basmati, gallinella, fagottino, carpaccino. quindi sul menù (rigorosamente scritto a mano) andremo a scrivere, carpaccino di gallinella con fagottini di basmati allo zenzero.
non è difficile, provare per credere, se si vuole strafare (ma la difficoltà aumenta) si può fare un altra serie di foglietti con gli aggettivi.
es. il nostro piatto diventerà: carpaccino freddo di gallinella con fagottini croccanti di basmati allo zenzero agrodolce.
cos’è e come si prepara è del tutto indifferente.
Alla fine  presentate al cliente un conto tra i quaranta ed i cinquanta euro a garanzia e conferma di essere stati finalmente in un locale davvero alternativo, vedrete che questi vi ringrazierà e correrà a consigliare il locale ad amici e parenti.
e non dimenticate di spargere la voce che per una pizza ed una birra ci vogliono oramai trenta euro.

Tutto questo perchè al posto di una vellutata di asparagi (piatto raffinato di difficile preparazione, a base di burro, panna uovo, che richiede tempo e sapiente arte culinaria) mi hanno rifilato al costo di 15 euro un passato di verdure con tre gamberetti in scatola. Ma perchè cazzo devi scrivere “vellutata”, scrivi passato di verdure col miniprimer e fammelo pagare la metà, io lo mangio ugualmente ma almeno non ci prendiamo per il culo.

2 marzo 2008, pomeriggio









belle facce (guardando il mondo dallo scooter)

premessa: le foto le posto dopo…

tutte le mattine c’ è un tipo con gli occhiali che mi ammicca col suo bel faccione incravattato dall’alto dei giganteschi manifesti 6×3 che addobbano Viareggio, guarda lontano e scrive:

lavoro
casa
parcheggi

…
tutto a sottintendere (“più”, “più”, “più” qualcosa)
e poi “meno tasse”

ma c’è bisogno di dirlo? Fare comunicazione “a prova di scemo” è la prova vivente del voler mantenere tutto come sta.
Il vero programma che sta dietro questi faccioni che ci assedieranno di qui ad un mese è scritto a caratteri cubitali sul modo in cui sputtanano soldi per dire banalità ai quattro venti e a questo punto l’unico dilemma che sento da elettore non è per chi votare, ma se votare.

Ah, il manifesto non riporta la firma del partito di appartenenza, ma sabato scorso il tipo aveva il suo gazebino delle libertà in Passeggiata.

Su altri poster campeggia l’attuale assessore all’urbanistica e altre*, tale Manfredi. La composizione è esemplare: un ritratto sorridente, ma tristemente sottoesposto con un fondale riempito (immagino involontariamente) di cemento cittadino: la faccia resta un po’ in ombra e il fondo in piena luce, come se avessero voluto comunicare che quell’uomo è il mezzo e lo sfondo il fine.
Arrivo allo studio e vedo i suoi volantini che pendono fuori come linguacce dalle cassette della posta, mentre altri svolazzano liberi a sporcare la corte, ne raccatto uno e senza un motivo preciso mi ritorna in mente una cosa che avevo letto la sera prima: “la storia si ripete: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. Guardo le cartacce volare e penso “e la terza?”.

Salpati dal terzo facciamo rotta a vele spiegate verso il quarto mondo.

*Infrastrutture della mobilità (strade, parcheggi, sottopassi ferroviari, ponti, manutenzioni), dell’ambiente (rete fognaria), dell’energia e delle comunicazioni, Opere pubbliche connesse con l’arredo urbano, Urbanistica, Edilizia pubblica e privata, Servizi cimiteriali, Toponomastica
p.s. la frase è di Karl Marx.

emorroidi

una mountain bike vista oggi, parcheggiata davanti allo studio

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