Il nuovo che avanza (e abbonda)

“Sto parlando di quei posti intimi raccolti, con la luce bassa, senza musica, dove bere in solitudine non è ancora sospetto e i baristi non si sforzano di essere simpatici o loquaci, posti che non esistono più. I pochi sopravvissuti ai rifacimenti dei proprietari, ai cambi di gestione, agli architetti di grido e agli arredatori di moda, ai dj e ai barman acrobatici, ai punti luce e ai divanetti color crema, dehor e alla musica di sottofondo sono ormai defilati, quasi imboscati e cercano di non dare troppo nell’occhio. Si nascondono nel ventre di decadenti e blasonati alberghi, prediligono quartieri fuori mano, strade anguste poco battute. Hanno paura della furia iconoclasta del nostro popolo che è sempre pronto a lasciare il vecchio per il nuovo, il bello per il brutto, purche sia nuovo, purche sia brutto. Basta entrare in un pub londinese o in un bistrot parigino, affondare nei divani rugosi, carezzare i legni consunti o ammirare gli ottoni bruniti per capire che altrove non è così, che all’estero non si ha vergogna del passato. Se gli inglesi passato lo vivono, i francesi lo rimpiangono, gli italiani lo rimuovono.
Insomma le calamità saranno anche inevitabili, ma ad aggravarle c’è sempre la mano dell’uomo. E in questo caso la mano stringe il bicchiere con aperitivo. Il vero bar si è disciolto nell’aperitivo, una specie di metafora liquida dell’evanescenza e dell’inconcludenza dei nostri tempi.”

Filippo Bologna, “Unhappy hour”, IL ottobre 2012

sulle facce e sui posti

con lokolook abbiamo fotografato in un paio d’anni più di mille facce e pezzi di corpi e quelli che mi sono rimasti più nella testa sono quelli delle persone vecchie.
(Che poi è la stessa cosa che mi succede coi luoghi e i posti, ma mi sa che devo rifletterci ancora su)

Game over

in sala giochi si andava per giocare, mettevi dei soldi nella fessura e ti cimentavi con delle macchine che mettevano alla prova una qualche abilità: velocità, intuito, riflessi.

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Ci son rientrato stasera, mi ci han portato Aria e Zoe. Ci sono solo delle proto-slotmachines, giochini colorati di varie razze, ma praticamente tutti legati alla sorte, propedeutici al fatto di sviluppare future dipendenze da videopoker e slotmachines. Ogni gioco è di fortuna, dura pochissimi secondi e alla fine ti regala delle strisce di cartoncini con dei punti che accumuli e poi, quando ne hai quantità assurde, puoi ritirare il tuo premio, che, se prima era una nuova partita insieme al record, spesso scritto su un cartoncino attaccato con lo scotch sul flipper con il tuo nome ed un punteggio astronomico che ti faceva assurgere a Cavaliere del Pinball Wizard e con una moneta gente come Darietto passava delle ore e poi regalava ai mortali che avevano testimoniato le sue prodezze decine di credits, adesso la gratifica non nasce dall’abilità, ma solo da culo e (tanto tanto) accumulo, metafora affilatissima di un’epoca in tilt.

 

Iggy

io da grande vorrei essere così. Ancora.

 

a box smiling at me

 

stamattina, prima di portarlo fuori, ha mormorato “differenziami”.

don’t try this at home

tre cose:
questi fanno apparire Johnny Knoxville un vigliacco,
il video ha riprese e montaggio spettacolari,
il concetto di mettere a repentaglio le vite altrui con questa anarchia stradale mi fa schifo.

Però non riesco a smettere di guardarlo.

new lokolook book

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